2018
Aspetto del Volto Santo

Il Volto Santo è un velo tenue, cosicché un giornale posto dietro lo si può facilmente leggere anche ad una certa distanza.
I fili orizzontali del tessuto sono alquanto ondeggianti, il tessuto stesso è di semplice struttura, cosicché l’ordito e la trama si intrecciano nella forma più semplice come in una normale tessitura.
Le misure del panno sono 17 x 24 cm.
È l’immagine di un uomo con i capelli lunghi e la barba divisa a bande. Caso unico al mondo l’immagine è visibile identica da ambedue le parti.
Le tonalità del colore sono sul marrone, le labbra,leggermente colorate rosso chiaro, sembrano annullare ogni aspetto materiale.
Le pupille sono completamente aperte, ma in modo irregolare. Nel mezzo, sopra la fronte si trova un ciuffo di capelli, corti e mossi a mò di vortice.
2015
La visita di Benedetto XVI al Volto Santo di Manoppello

Eccellenza, Venerati Fratelli nell’Episcopato, cari fratelli e sorelle! Anzitutto devo ancora una volta dire un grazie dalla profondità del cuore per questa accoglienza, per le sue parole.
Eccellenza, così profonde, così amichevoli, per l’espressione della sua amicizia, della vostra amicizia, e per i doni di grandissimo significato: il Volto di Cristo qui venerato, per me, per la mia casa, e poi questi doni della vostra terra, che esprimono la bellezza e la bontà della terra, degli uomini che qui vivono e lavorano, e la bellezza e la bontà del Creatore stesso. Vorrei semplicemente ringraziare il Signore per l’odierno incontro, semplice e familiare, in un luogo dove possiamo meditare sul mistero dell’amore divino contemplando un’icona del Volto Santo.A voi tutti qui presenti va il mio grazie più sentito per la vostra cordiale accoglienza e per l’impegno e la discrezione con cui avete favorito questo mio privato pellegrinaggio. Saluto e ringrazio in particolare il vostro Arcivescovo che si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Grazie per i doni che mi avete offerto e che apprezzo molto proprio nella loro qualità di “segni”, come li ha chiamati Mons. Forte. Sono segni, infatti, della comunione affettiva ed effettiva che lega il popolo di questa cara terra d’Abruzzo al Successore di Pietro. Un saluto speciale rivolgo a voi, sacerdoti, religiosi e religiose e seminaristi qui convenuti. Non essendo possibile incontrare l’intera Comunità diocesana, sono contento che a rappresentarla ci siate voi, persone già dedite al ministero presbiterale e alla vita consacrata o incamminate verso il sacerdozio. Persone che mi piace considerare innamorate di Cristo, attratte da Lui e impegnate a fare della propria esistenza una continua ricerca del suo Santo Volto. Un grato pensiero rivolgo infine alla comunità dei Padri Cappuccini, che ci ospita, e che da secoli si prende cura di questo santuario, meta di tanti pellegrini.
Mentre poc’anzi sostavo in preghiera, pensavo ai primi due Apostoli, che, sollecitati da Giovanni Battista, seguirono Gesù presso il fiume Giordano – come leggiamo all’inizio del Vangelo di Giovanni (Gv 1,35-37). L’evangelista narra che Gesù si voltò e domandò loro: “Che cercate?”. Essi risposero: “Rabbi, dove abiti?”. Ed egli: “Venite e vedrete” (Gv 1,38-39). Quel giorno stesso i due che Lo seguirono fecero un’esperienza indimenticabile, che li portò a dire: “Abbiamo trovato il Messia” (Gv 1,41). Colui che poche ore prima consideravano un semplice “rabbi”, aveva acquistato una identità ben precisa, quella del Cristo atteso da secoli. Ma, in realtà, quanta strada avevano ancora davanti a loro quei discepoli! Non potevano nemmeno immaginare quanto il mistero di Gesù di Nazaret potesse essere profondo; quanto il suo “volto” potesse rivelarsi insondabile, imperscrutabile. Tanto che, dopo aver vissuto insieme tre anni, Filippo, uno di loro, si sentirà dire nell’Ultima Cena: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”. E poi quelle parole che esprimono tutta la novità della rivelazione di Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9). Solo dopo la sua passione, quando lo incontreranno risorto, quando lo Spirito illuminerà le loro menti e i loro cuori, gli Apostoli comprenderanno il significato delle parole che Gesù aveva detto, e Lo riconosceranno come il Figlio di Dio, il Messia promesso per la redenzione del mondo. Diventeranno allora suoi messaggeri infaticabili, testimoni coraggiosi sino al martirio.
“Chi ha visto me ha visto il Padre”. Sì, cari fratelli e sorelle, per “vedere Dio” bisogna conoscere Cristo e lasciarsi plasmare dal suo Spirito che guida i credenti “alla verità tutta intera” (Gv 16, 13). Chi incontra Gesù, chi si lascia da Lui attrarre ed è disposto a seguirlo sino al sacrificio della vita, sperimenta personalmente, come Egli ha fatto sulla croce, che solo il “chicco di grano” che cade nella terra e muore porta “molto frutto” (Gv 12,24). Questa è la via di Cristo, la via dell’amore totale che vince la morte: chi la percorre e “odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna” (Gv 12, 25). Vive cioè in Dio già su questa terra, attratto e trasformato dal fulgore del suo volto. Questa è l’esperienza dei veri amici di Dio, i santi, che hanno riconosciuto e amato nei fratelli, specialmente i più poveri e bisognosi, il volto di quel Dio a lungo contemplato con amore nella preghiera. Essi sono per noi incoraggianti esempi da imitare; ci assicurano che se percorriamo con fedeltà questa via, la via dell’amore, anche noi – come canta il Salmista – ci sazieremo della presenza di Dio (Sal 16[17],15).
“Jesu… quam bonus te quaerentibus! – Quanto sei buono, Gesù, per chi ti cerca!”: così avete cantato poco fa eseguendo l’antico inno “Jesu, dulcis memoria“, che qualcuno attribuisce a San Bernardo. E’ un inno che acquista singolare eloquenza in questo santuario dedicato al Volto Santo e che richiama alla mente il Salmo 23(24): “Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (v. 6). Ma quale è “la generazione” che cerca il volto di Dio, quale generazione è degna di “salire il monte del Signore”, di “stare nel suo luogo santo”? Spiega il salmista: sono coloro che hanno “mani innocenti e cuore puro”, che non pronunciano menzogna, che non giurano a danno del loro prossimo (vv. 3-4). Dunque, per entrare in comunione con Cristo e contemplarne il volto, per riconoscere il volto del Signore in quello dei fratelli e nelle vicende di ogni giorno, sono necessarie “mani innocenti e cuori puri”. Mani innocenti, cioè esistenze illuminate dalla verità dell’amore che vince l’indifferenza, il dubbio, la menzogna e l’egoismo; ed inoltre sono necessari cuori puri, cuori rapiti dalla bellezza divina, come dice la piccola Teresa di Lisieux nella sua preghiera al Volto Santo, cuori che portano impresso il volto di Cristo.
Cari sacerdoti, se resta impressa in voi, pastori del gregge di Cristo, la santità del suo Volto, non abbiate timore, anche i fedeli affidati alle vostre cure ne saranno contagiati e trasformati. E voi, seminaristi, che vi preparate ad essere guide responsabili del popolo cristiano, non lasciatevi attrarre da null’altro che da Gesù e dal desiderio di servire la sua Chiesa. Altrettanto vorrei dire a voi, religiosi e religiose, perché ogni vostra attività sia un visibile riflesso della bontà e della misericordia divina. “Il tuo volto, Signore, io cerco”: ricercare il volto di Gesù deve essere l’anelito di tutti noi cristiani; siamo infatti noi “la generazione” che in questo tempo cerca il suo volto, il volto del “Dio di Giacobbe”. Se perseveriamo nel cercare il volto del Signore, al termine del nostro pellegrinaggio terreno sarà Lui, Gesù, il nostro eterno gaudio, la nostra ricompensa e gloria per sempre: “Sis Jesu nostrum gaudium, / qui es futurus praemium: / sit nostra in te gloria, / per cuncta semper saecula”.
Questa è la certezza che ha animato i santi della vostra regione, tra i quali mi piace citare particolarmente Gabriele dell’Addolorata e Camillo de Lellis; a loro va il nostro ricordo riverente e la nostra preghiera. Ma un pensiero di speciale devozione rivolgiamo ora alla “Regina di tutti i santi”, la Vergine Maria, che voi venerate in diversi santuari e cappelle sparsi nelle valli e sui monti abruzzesi. La Madonna, nel cui volto più che in ogni altra creatura si scorgono i lineamenti del Verbo incarnato, vegli sulle famiglie e sulle parrocchie, sulle città e sulle nazioni del mondo intero. Ci aiuti la Madre del Creatore a rispettare anche la natura, grande dono di Dio che qui possiamo ammirare guardando le stupende montagne che ci circondano. Questo dono, però, è sempre più esposto a seri rischi di degrado ambientale e va pertanto difeso e tutelato. Si tratta di un’urgenza che, come notava il vostro Arcivescovo, è opportunamente posta in evidenza dalla Giornata di riflessione e di preghiera per la salvaguardia del creato, che proprio oggi viene celebrata dalla Chiesa in Italia.
Cari fratelli e sorelle, mentre ancora una volta vi ringrazio per la vostra presenza, su tutti voi e sui vostri cari invoco la benedizione di Dio con l’antica formula biblica: “Vi benedica il Signore e vi protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di voi e vi sia propizio. Il Signore rivolga su di voi il suo volto e vi conceda pace” (Nm 6, 24-26). Amen!
2015
Il Volto del Mistero

Perfettamente sovrapponibile alla Sindone, è anch’esso «testimonianza divina della Passione e Risurrezione di Gesù», dice il gesuita Pfeiffer, che l’ha studiato.
Da 400 anni, nel santuario abruzzese di Manoppello (in provincia di Pescara e nella diocesi di Chieti), si venera un velo sul quale è impresso il volto di Gesù Cristo, con gli occhi aperti e con i segni della passione. La tradizione popolare lo ha sempre considerato una reliquia, ma gli studi storLici non sono mai andati particolarmente a fondo, fino a quando non hanno cominciato a occuparsene il gesuita Heinrich Pfeiffer, docente di Storia dell’arte nella Pontificia università gregoriana e uno dei massimi esperti mondiali d’iconografia cristiana, e suor Blandina Paschalis Schlömer. Quest’ultima ha riconosciuto nel volto di Manoppello la perfetta sovrapponibilità con il volto della Sindone, con la collaborazione del redentorista Andreas Resch che ha elaborato le immagini al computer.Padre Pfeiffer ha invece soprattutto verificato le compatibilità del Volto santo con le raffigurazioni di Cristo nell’arte del primo millennio.
- Padre Pfeiffer, lei ha innanzitutto approfondito le ricerche sulla Sindone, per poi giungere al velo di Manoppello. Che cosa ha scoperto lungo questo percorso?
«Sin dal VI secolo s’impose in Oriente un modello del quale l’esempio più antico è l’icona del Pantocràtore (l’”Onnipotente”, il “Signore del mondo”), conservata nel monastero di Santa Caterina sul monte Sinai, in Egitto. La spiegazione è legata alla comparsa e alla divulgazione delle immagini di Gesù ritenute di origine miracolosa, tutte e due su pezzi di stoffa: prima il Mandylion a Edessa, che dovrebbe essere il telo oggi noto come Sindone, e subito dopo quella di Camulia in Cappadocia, che probabilmente è il velo esposto a Manoppello. Lo stesso “tipo classico” è già presente nell’affresco raffigurante Cristo, della fine del IV secolo, che si trova sulla volta di un cubicolo della catacomba dei santi Pietro e Marcellino».
- C’è dunque una specie di “prototipo” che s’impone sulla scena figurativa cristiana?
«Di un prototipo al quale tutte le immagini di Cristo devono uniformarsi si parla sin dal VI-VII secolo, ma nei documenti non viene mai specificato se si tratti di Cristo stesso o della sua immagine. Anche un’immagine di Cristo che un pittore avrebbe realizzato nel tempo della sua vita terrena non poteva essere il prototipo di cui parlano i testi conciliari di Nicea II: ne danno conferma quasi tutte le leggende che parlano della realizzazione dei ritratti autentici di Gesù e che costituiscono una specie di teologia popolare».
- Studiando le opere artistiche, sia dell’Oriente sia dell’Occidente, quali influssi le sono specificamente balzati agli occhi?
«Il volto della Sindone sottolinea più la struttura ossea e rigida, quello di Manoppello appare più rotondo. Così tutti i mosaici del Cristo Pantocràtore, a Costantinopoli, in Grecia e in Sicilia, rappresentano il tipo che palesa principalmente la Sindone come modello. Le immagini di Cristo dell’arte fiamminga del Quattrocento sono invece piuttosto da mettere in rapporto con il Volto santo di Manoppello. Nel primo caso, i mosaicisti vengono nel XII secolo da Costantinopoli, dove hanno conosciuto il Mandylion, cioè la Sindone. Nel secondo caso, gli artisti hanno avuto piuttosto la conoscenza della Veronica romana, cioè del velo di Manoppello».
- Verso il 705, il Volto santo sarebbe sparito da Costantinopoli e sarebbe giunto a Roma durante il pontificato di Giovanni VII. Secondo la ricostruzione da lei realizzata, che cosa fece a quel punto il Papa?
«La mia ipotesi è che, per proteggerlo e sottrarlo dagli sguardi dell’autorità bizantina, il Volto santo venne posto sull’icona del Salvatore, chiamata sin dall’ottavo secolo l’Acheropita, che era custodita nel Sancta Sanctorum del Laterano. Lo documenta il fatto che sopra il volto si trova da secoli un velo dipinto, e soltanto questo volto sul velo è ancora riconoscibile. Poiché un tale procedimento è inusuale, è da supporre che il velo dipinto abbia dovuto sostituire un altro oggetto di stoffa. Non potrebbe essere stato questo oggetto nient’altro che il Volto santo di Manoppello, o meglio l’immagine di Camulia? Una volta fissato sopra un’icona e inserito sotto una maschera metallica, l’esile telo non si è più potuto vedere, e nello stesso tempo esso poteva essere venerato con un culto pubblico. Impossibile immaginare un nascondiglio migliore».
- Intorno al 1200, con il declino dell’Impero bizantino, il Papa si appropriò esplicitamente della reliquia, che cominciò a essere esposta in San Pietro e portata in processione per le vie di Roma. Per alcuni secoli la situazione rimase immutata, ma poi, agli inizi del XVII secolo, l’immagine del Vaticano cambiò aspetto: dai precedenti occhi aperti, venne rappresentata con gli occhi chiusi, mentre anche l’aspetto generale si era modificato. Come mai?
«Il furto da San Pietro del cosiddetto “velo della Veronica”, mai ammesso dal Vaticano, spinse Paolo V a far dipingere un nuovo Volto santo per poterne donare una copia alla regina polacca Maria Costanza. Ma questa nuova creazione fu un vero e proprio pasticcio, composto da un ricordo della Veronica, dalla sagoma del Mandylion che si conservava in questo tempo nella chiesa di San Silvestro a Roma e dalla conoscenza della Sindone di Torino attraverso una copia in misura originale che si trovava a Roma nella chiesa del Sudario. Oggi il quadro conservato nella basilica, secondo quanto mi ha descritto lo scomparso monsignor Paul Krieg del Capitolo di San Pietro, è una lastra d’oro sulla quale è fissato un velo consunto, coperto da un altro velo dove si può scorgere a stento la barba di Cristo».
- E come mai il Volto santo sarebbe giunto a Manoppello?
«Gli esatti passaggi dopo il furto romano non ci sono noti. Ma una Relatione historica, scritta dal cappuccino Donato da Bomba nel 1646, riferisce che un certo Donato Antonio De Fabritiis donò la reliquia – che aveva acquistato dalla moglie di un soldato finito in carcere a Chieti – ai frati cappuccini di Manoppello, che ormai da quasi quattro secoli custodiscono il velo, adesso perennemente esposto sull’altare maggiore del santuario».
- La sovrapposizione fra la Sindone di Torino e il velo di Manoppello mostra una perfetta compatibilità dei volti. Ma qual è, a suo parere, la ragione per cui Dio ha voluto lasciarci queste perenni immagini del suo Figlio prediletto, impresse sui due teli?
«Il motivo è che sono testimonianze divine della Passione e della Risurrezione corporale di Gesù Cristo e, attraverso esse, ci viene offerto un primo assaggio della sua gloria. Se cerchiamo d’individuare il momento in cui si sono realizzate le due immagini perfettamente sovrapponibili, ci resta solo quello in cui il corpo, dal quale le immagini provengono, è stato nel Sepolcro. Non vedo altra possibilità. Pertanto abbiamo due immagini autentiche di Gesù di Nazareth che testimoniano la sua presenza all’interno della tomba nella quale il suo corpo morto fu sepolto e dalla quale egli è risorto dopo tre giorni con il suo corpo glorioso».
Saverio Gaeta
2015
Via Crucis “Zonale” Al Volto Santo

Anche quest’anno, come già avviene dal Giubileo del 2000, venerdì 20 marzo, al nostro santuario, si effettua la pia pratica della Via Crucis inter – parrocchiale, all’aperto.
Questo appuntamento è diventato un consueto incontro in occasione della Quaresima, come preparazione alla Pasqua. Vi partecipano le parrocchie che gravitano nella zona pastorale di Scafa, cioè: Scafa, Manoppello, Serramonacesca, Lettomanoppello, Turrivalignani, Roccamorice, Abbateggio, San Valentino, Caramanico Terme, Bolognano, Tocco da Casauria. Partecipano i 13 parroci della zona pastorale, i religiosi, le religiose e soprattutto l’Arcivescovo dell’archidiocesi di Chieti-Vasto S. E. Mons. Bruno Forte. Ci si riunisce tutti
a “fonte Leone” e si prosegue per la salita che porta al santuario del Volto Santo. Ci si sofferma davanti a ognuna delle 14 edicole realizzate in pietra e ceramica, con le Stazioni della Via Crucis, riproducenti i tradizionali momenti della salita di Gesù al Calvario e si medita sulle riflessioni dell’Arcivescovo, si prega e si canta. L’evento generalmente richiama molti devoti e si conclude in chiesa con una solenne concelebrazione. I fedeli hanno l’opportunità della confessione e molti ne usufruiscono. Per la cronaca, mentre in precedenza, l’appuntamento annuale era il venerdì prima della domenica delle Palme, questa volta, per motivi organizzativi, è stato anticipato di una settimana.