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Omelia dell’arcivescovo George Gänswein

11 Marzo 2020
Omelia
0

Chiesa Santo Spirito in Sassia a Roma
16 gennaio 2016 –

Omelia dell’arcivescovo George Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia

Care sorelle e cari fratelli!
La domenica di oggi è detta Omnis terra, secondo le parole del Salmo 65 che abbiamo ascoltato all’inizio della Santa Messa: “Omnis terra adoret te, Deus, et psallat tibi!” (“A te acclami tutta la terra, a te canti inni, o Dio”). Questa domenica era detta così anche ottocento anni fa; e anche allora, come oggi, in tutte le chiese cattoliche veniva proclamato il Vangelo delle nozze di Cana. Da allora sono tramontati imperi, spazzati via come foglie d’autunno; la Chiesa ha visto susseguirsi novantadue papi; violente rivoluzioni e guerre hanno scosso 1’Europa; divisioni fatali hanno lacerato la cristianità. Per cui sembra quasi un miracolo la tranquillità con la quale, nella liturgia di questa domenica, cantiamo oggi come allora: Lodate il Signore, popoli tutti!
In questa lode oggi facciamo però memoria anche del fatto che qui 808 anni fa, per la prima volta, papa Innocenzo III fece portare in processione il Santo Sudario di Cristo da S. Pietro a S. Spirito. Si trattava di quel velo santo che ci mostra “il volto umano di Dio”, del quale papa Benedetto XVI non si mai 6 stancato di parlare; ovvero “il volto vivo della misericordia del Padre” al quale papa Francesco ha dedicato quest’Anno giubilare.
E già allora, nel gennaio dell’anno 1208, quel volto divino di Dio qui, in questa chiesa, fu collegato alla concreta misericordia degli uomini; questa chiesa che poi, nel 1994, san Giovanni Paolo II dedicò alla “Divina misericordia”, in onore di santa Faustina Kowalska, le cui reliquie noi qui veneriamo. II Papa polacco era anche un veggente e una volta di più lo sperimentiamo qui oggi.
Infatti, 808 anni fa, in quella primissima processione, papa Innocenzo III stabilì che 1’immagine santa non venisse portata ai nobili di Roma, ma ai pellegrini malati e ai poveri della città, la cui dimora più importante già allora era quest’ospedale di Santo Spirito. E dispose anche che l’elemosiniere pontificio, attingendo all’Obolo di San Pietro, elargisse tre denari a ognuno dei trecento malati e ai mille poveri invitati ad assistere alla cerimonia e accorsi da tutta la città: un denaro per il pane, uno per il vino e il terzo per la carne. Egli inoltre legò consistenti indulgenze alla visita della “vera immagine” e alla partecipazione alla relativa processione.
Di fatto si trattava di un’anticipazione degli Anni Santi che solo più tardi, nel 1300, vennero introdotti a Roma da Bonifacio VIII. Tutto questo iniziò proprio qui!
Da allora le processioni e le ostensioni del Santo velo sino all’età moderna non hanno mai avuto termine. Senza numero furono ben presto i pellegrini che vollero contemplare a Roma il volto di Dio. In seguito, fu in una di queste processioni che Dante imparò a conoscere il volto di Dio. È il volto davanti al quale finisce “l’escursione cosmica” della sua Divina Commedia, come disse Papa Benedetto XVI dieci anni fa, quando presentò la sua enciclica Deus caritas est. È il volto dell’amore, “che move il sole e l’altre stelle”, come Dante ha scritto nel passo più noto della letteratura italiana.
È l’amore di Dio che gioisce per noi come “lo sposo per la sposa”, come abbiamo appena ascoltato nelle parole tratte dal profeta Isaia; ed è la forza dello Spirito Santo dei cui diversi doni appena prima san Paolo ci ha nuovamente resi edotti in questa chiesa di S. Spirito. E tuttavia, in nessun altro luogo questo Spirito parla più chiaramente e con più evidenza come nel muto volto di Cristo, di fronte al quale oggi qui ci siamo raccolti.
Perché “questa è la vocazione e la gioia di ogni battezzato: portare e donare agli altri Gesù”, come ha detto papa Francesco il 3 gennaio scorso. Ma questo è proprio ciò di cui oggi ci è dato divenire testimoni, nel momento in cui i valorosi frati cappuccini di Manoppello qui ci “portano e donano Gesù”, nel cui volto Dio stesso mostra il suo volto.
In conclusione vorrei aggiungere giusto una cosa sul Vangelo delle nozze di Cana, sul quale tante cose istruttive sono state già dette: chi, infatti, può ancora meravigliarsi che Gesù abbia fatto il suo primo miracolo pubblico proprio a favore del matrimonio e della famiglia che oggi sono così in pericolo da avere papa Francesco dedicato all’uno e all’altra due specifici sinodi! Anzi, nel tempo di Natale nel quale ancora siamo, possiamo intendere al meglio quel primo miracolo come un necessario ampliamento del mistero dell’incarnazione di Dio. Che, cioè, è solo all’interno di una famiglia che diveniamo uomini! Con una madre e un padre e — se siamo fortunati — con dei fratelli e delle sorelle. Per questo gli artisti cristiani hanno sempre ritratto il volto di Gesù rifacendosi a quello di sua madre, e viceversa. Perché se Dio è il padre di Gesù, il suo volto deve e può assomigliare solo a quello di lei. Ed è proprio quest’antichissimo volto che oggi in modo quasi miracoloso è ritornato a S. Spirito in Sassia, dove sembra essere pressoché identico al volto della Divina misericordia che è qui venerato da più di due decenni.
Si tratta di una copia di quell’antico originale che papa Innocenzo III mostrava ai pellegrini e che da quattrocento anni è custodito in Abruzzo, sull’Adriatico, in una zona periferica dell’Italia, da dove oggi per la prima volta è stato riportato nel luogo in cui ebbe inizio il suo culto pubblico. Da qui, innumerevoli copie hanno portato in tutto il mondo il vero volto di Dio che i cristiani conoscevano. E sta proprio qui il senso più profondo di questo momento. Prima di giungere a Roma, il Santo velo era stato custodito a Costantinopoli, in precedenza a Edessa e ancor prima a Gerusalemme. Non è possibile, infatti, che quel volto sia proprietà, sia tesoro di un singolo, nemmeno del papa. Esso è il segno distintivo dei cristiani. Solo non sappiamo che volto ha Dio — come e chi egli sia. Per questo, il volto di Cristo è il primo, il più nobile e più prezioso tesoro dell’intera cristianità, di più: di tutta la terra. Omnis terra! A questo volto dovremo sempre di nuovo aprirci. Sempre come pellegrini; sempre verso la periferia; e sempre avendo davanti agli occhi un solo obbiettivo: quel momento in cui saremo faccia a faccia di fronte a lui. Amen.

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