IN GESÙ CRISTO, DIO HA RIVELATO IL SUO NOME E IL SUO VOLTO

Una persona con un nome e con un volto
Se si vuole conoscere una persona e soprattutto il suo mistero, è consigliabile conoscere il suo nome. Già un proverbio lo suggerisce: “Nomen est omen”. E ci fa capire che i nomi svolgono un ruolo importante nella vita di noi umani. Ancor prima che una persona nasca, i genitori pensano al nome che vogliono dare al neonato e alle prospettive di vita ad esso associate. Il nome ricevuto accompagna la persona per tutta la vita. La persona è chiamata con il suo nome, può essere identificata con il suo nome e deve firmare con il suo nome. Soprattutto, il nome permette alla persona di essere chiamata. Quando chiamiamo una persona con il suo nome, allacciamo una relazione personale con colui o colei che nominiamo. Il grande significato che riveste il nome nella vita di un individuo dimostra che il nome esprime l’essenza di una persona.
Naturalmente, con il solo nome non possiamo ancora conoscere a fondo il mistero di una persona. Il nome da solo rimane in qualche modo astratto, sospeso nell’aria, se non può essere associato a un volto preciso. “Nomen est omen”: questo detto inizia a parlare solo quando si incontra il volto che porta il nome. Ognuno ha un volto inconfondibile che esprime la sua originalità nel miglior senso della parola. Come un individuo può essere chiamato con il suo nome, così può essere visto con il suo volto e può instaurare una relazione molto personale con un altro individuo che gli mostra il proprio volto, in modo che sorga una vera comunicazione “faccia a faccia”.
Nome e volto fanno di un individuo una persona concreta. Il nome è una parola di relazione e mette in luce il fatto che una persona, sulla base del suo nome, può essere chiamata e può rivolgersi ad altre persone. Grazie al suo volto, può essere da altri guardata e può guardare altri e, quindi, trasmettere loro l´immagine già suggerita dalla lingua. Non è un caso che la parola ebraica che indica il volto, “paním”, sia stata tradotta con “prosopon” in greco e con “persona” in latino. Una persona, infatti, è caratterizzata dal fatto di avere un nome e un volto.
Se teniamo conto di questi legami e se consideriamo anche che il riconoscimento del mistero dell’essere umano come persona è stato possibile, nella storia, grazie allo sforzo cristiano di comprendere Dio come Trinità, allora ci avvicineremo anche al mistero più intimo della fede cristiana: la novità della rivelazione cristiana non consiste in una nuova idea religiosa o in una nuova decisione etica, ma in una persona. Nessuno è una persona più di quanto lo è Dio stesso, e noi esseri umani diventiamo sempre più persone man mano che approfondiamo la nostra relazione personale con lui e crediamo nella persona in cui Dio si è fatto da noi riconoscere in maniera definitiva, rivelandoci il suo nome e mostrandoci il suo volto, vale adire suo Figlio. Gesù Cristo ha reso il nome di Dio accessibile, ed è egli stesso il volto di Dio che a noi si rivolge.
Gesù Cristo come nome e volto di Dio
“Padre, ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo” (Gv 17, 6a). Con questa confessione nella sua preghiera sacerdotale, Gesù indica il fulcro della sua missione divina nel nostro mondo. Egli naturalmente presuppone che anche Dio, che chiama Padre e con il quale si trova faccia a faccia, abbia un nome. Che Dio abbia un nome è il fatto più evidente nell’immagine biblica di Dio. Il nome di Dio è certamente un’espressione del riconoscimento della natura di Dio, ma, innanzitutto, rende possibile chiamare Dio nella sua essenza. Come noi umani siamo chiamati con il nostro nome, così anche noi credenti possiamo invocare il nome di Dio.
Secondo la Scrittura, non siamo noi uomini a dare un nome a Dio, costringendolo così alla possibilità di essere chiamato. Piuttosto, Dio può essere chiamato solo perché si lascia chiamare; e il suo nome è noto a noi uomini solo perché Dio stesso ce lo ha fatto conoscere. La relazione personale tra noi e Dio, resa possibile dal suo nome, è quindi stabilita non da noi uomini, ma solo da Dio. Il nome di Dio è l’espressione del fatto biblico fondamentale che Dio si dà un nome e si rivela, così come Gesù riassume la sua missione nella rivelazione del nome di Dio che egli fa a noi uomini. Altrove, Gesù formula la sua preoccupazione principale e il suo obiettivo nella vita con la preghiera rivolta al Padre: “Padre, glorifica il tuo nome” (Gv 12, 28). Gesù si identifica così come il nuovo Mosè, colui che adempie la missione del primo Mosè, vale a dire l’annuncio del nome di Dio “Yahweh”, in un modo ancora più profondo.
Come Dio ci ha rivelato il suo nome in suo Figlio Gesù Cristo, così ci ha anche svelato di avere un volto, mostrandocelo nel Figlio, conformemente a quanto Gesù Cristo stesso testimonia: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14, 9). Con questa confessione, Gesù risponde alla richiesta insistente dell’apostolo Filippo di mostrare a lui e ai suoi compagni, gli altri apostoli, il Padre. Filippo esprime il desiderio originario dell’umanità di vedere il volto di Dio e di incontrarlo faccia a faccia. Questa richiesta attraversa già l’Antico Testamento come un filo rosso, come testimonia eloquentemente la preghiera di un perseguitato, nel Salmo 17: “Ma io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine” (Salmo 17,15). Il salmo 24 ricorda che la ricerca del volto di Dio abbraccia tutta la vita: “Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (Salmo 24,6).
Il desiderio originario degli uomini, che è stato espresso con particolare incisività nell’Antico Testamento, ha trovato adempimento in Gesù Cristo. Gesù Cristo è il testimone autentico del fatto che Dio, per la fede cristiana, non è un Dio distante e non è neppure una semplice ipotesi filosofica sull’origine del cosmo, ma è un Dio che ci ha mostrato il suo vero volto, che ci ha donato così la sua parola definitiva, e che, con la sua parola d’amore piena e insuperabile, si è rivolto a noi, come ha riassunto in maniera pregnante San Giovanni della Croce riferendosi al fulcro della fede cristiana: “Perché nel donarci, come ci ha dato, il Figlio suo, che è una Parola sua e non ne ha un’altra, ci ha detto tutto ed in una volta sola in questa unica Parola, e non ha più niente da dire.”2 In realtà, non c’è più niente da dire, perché Dio, in Gesù Cristo, si è avvicinato a noi uomini il più possibile, rivelandoci il suo nome e mostrandoci il suo vero volto.
Ricercare per tutta la vita il volto “pieno di sangue e di ferite”
Alla luce dell’estrema serietà della rivelazione di Dio in Suo Figlio, l’ulteriore domanda che ci si presenta è: come appare precisamente il volto di Dio? Giovanni Battista ci fornisce la risposta cruciale nel Vangelo di oggi. Vedendo Gesù venire verso di lui, dice: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo” (Gv 1,19). Dio, in Gesù Cristo, ha il volto di un agnello. Questo volto di Dio deve farci riflettere; esso ci invita a soffermarci davanti a lui.
La prima volta che lo ascoltiamo, questo messaggio può forse sembrarci innocuo e persino un po’ romantico. Ma assume tutta la sua pregnanza se riflettiamo sul fatto che Cristo ha il volto di un agnello e non di un leone o di un lupo. Invece proprio come tale le persone lo aspettavano allora, e noi uomini speriamo ancora oggi che Dio usi il potere di un leone per scardinare il mondo e le sue strutture e per crearne uno nuovo. Ma Cristo non ha il volto di un leone. Piuttosto, sono i re del nostro mondo ad essersi ritratti ripetutamente con questa immagine per celebrare il loro potere in modo dimostrativo. Cristo non ha neppure il volto di una lupa, immagine usata dall’antica Roma per presentarsi come redentrice grazie al suo potere che dettava norme regolatrici. Giovanni Battista ci mostra che la redenzione non viene da animali grandi e potenti, ma dal fatto che Cristo è venuto a noi come un agnello, nella forza del suo amore indifeso.
Ecco il motivo più profondo per cui anche la croce fa parte del mistero di Gesù Cristo, e per cui, nel mondo, il volto di Cristo si presenta sempre anche come una “testa piena di sangue e di ferite”. Essere agnello e croce sono infatti inscindibilmente legati. Cristo è il buon pastore del suo popolo e la piena realizzazione di quella figura del servo al quale il profeta Isaia si riferisce, proprio perché è diventato agnello e si è schierato dalla parte degli agnelli torturati, per condividerne la sofferenza e per salvarli. Gesù ci ha redento offrendo la sua vita per amore. Il fulcro più profondo della missione di Gesù è infatti l’amore; pertanto, la sua missione può compiersi soltanto sulla croce, come testimonia l’evangelista Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
Quando qui, nel santuario di Manoppello, guardiamo e veneriamo il “Volto Santo”, incontriamo il volto di un agnello indifeso e allo stesso tempo il volto pieno di sangue e di ferite, perché ci viene incontro il volto dell’amore sconfinato di Dio. Siamo invitati a venerare questa immagine e a cercare il volto di Dio, come Papa Benedetto XVI ha raccomandato durante il suo pellegrinaggio personale a Manoppello: “ricercare il volto di Gesù deve essere l’anelito di tutti noi cristiani; siamo infatti noi ‘la generazione’ che in questo tempo cerca il suo volto, il volto del ‘Dio di Giacobbe’”3. Papa Benedetto XVI ha pronunciato queste parole riferendosi al Salmo 105, che dice: “Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto” (Salmo 105,4).
Con la parola “sempre” siamo invitati a fare in modo che la nostra vita di cristiani s’imperni sul desiderio di ricercare in ogni tempo il volto del Signore nell’intimo della nostra esistenza, e sulla certezza che questo desiderio non sfocerà nel nulla, perché la fede cristiana ci trasmette il bellissimo messaggio secondo cui Dio ha un nome meraviglioso e un volto amorevole. Se cerchiamo e veneriamo il suo volto, allora tutta la nostra vita sarà sotto la benedizione di Dio, che consiste nella promessa del suo volto: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Num 6, 24-26). Questo splendore del volto di Dio è la benedizione di cui abbiamo bisogno e che chiediamo nella celebrazione dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia, il Signore ci guarda con il suo volto di amore sconfinato e si dona a noi come pane di vita, che è nutrimento spirituale sulla via dell’eternità, in cui loderemo e adoreremo il volto di Dio, senza fine.
Prima lettura: Is 49, 3. 5-6
Seconda lettura: 1 Cor 1,1-3
Vangelo: Gv 1,29-34